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La strana amicizia tra un cane e un gufo

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In questo blog abbiamo già pubblicato storie di amicizia tra specie diverse. Di queste forse quella più sorprendente è l’amicizia tra un cane e un gufo.
  Poldi, un pulcino di gufo , e Ingo, un cane pastore belga , somo diventati inseparabili; e si può vedere come sono in sintonia   in queste immagini, è difficile da credere.
Il fotografo tedesco Tanja Brandt era responsabile di documentare questa storia magistralmente, come si può vedere in ciascuna delle sue fotografie.

Se ti è piaciuto il racconto è possibile seguire la compagnia di questi due animali simpatici nella pagina Facebook di Tanja Brandt .

Via: ingoundelse.de

Autore:
 Fonte:http://www.medioambiente.org/2015/02/la-extrana-amistad-de-un-perro-y-un-buho.html

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Perché i gatti sono così appassionati delle scatole?

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gatti e scatole

Ogni proprietario di un gatto almeno una volta ha vissuto questa  esperienza: ha acquistato un giocattolo costoso per il  proprio animale, a cui ,però,è rimasto del tutto indifferente ,preferendo,invece,  correre dentro una vecchia scatola di scarpe, o  un qualsiasi altro contenitore di  dimensioni  differenti posizionato in  un  punto  qualunque di casa.

Perché i gatti sono così appassionati delle scatole?

Vi è un evidente vantaggio di predazione che la scatola offre: i gatti sono predatori in agguato, e le scatole sono buoni nascondigli per perseguire la preda.

Ma questa  non può essere l’unica ragione che spiega la predilezione dei gatti per le scatole, giusto?

Fortunatamente, biologi e veterinari hanno alcune altre spiegazioni interessanti.

Comfort e sicurezza

50 anni di ricerca comportamentale sui gatti ha dimostrato una cosa chiara: i gatti amano il comfort e la sicurezza degli spazi chiusi.
In situazioni di stress, i gatti spesso cercano una scatola o un altro vano chiuso per sentirsi meglio.

La veterinaria Claudia Vinke, dell’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, ha studiato i livelli di stress nei gatti  nei ricoveri per animali.  Ha trovato una differenza significativa nei livelli di stress tra i gatti che avevano a disposizione delle  scatole e quelli che non le avevano. I gatti con le scatole si  adattano  ad un  nuovo ambiente in fretta, sono molto meno stressati e sono  più interessati a interagire con gli esseri umani.Ciò ha senso se si considera che la prima reazione di quasi tutti i gatti in una situazione di stress è  ritirarsi e nascondersi. “Nascondersi è una strategia comportamentale dei gatti per  affrontare i cambiamenti ambientali e stressanti”, spiega Vinke.

Questo vale sia per i gatti  domestici   sia  per  quelli selvatici.

Isolamento sociale

In linea con il punto precedente, è importante  anche considerare  che i gatti non sono  per la  risoluzione dei conflitti, e preferiscono scappare da una situazione   che ha a che fare con essi. La mania di nascondersi vale per quasi tutto – i gatti godono di un certo isolamento sociale.

Quindi, non siate  turbati se il vostro gatto non viene quando lo chiamate. Sì, vi sta evitando. Ma non è niente di personale.

La scatola, in questo senso, può essere una zona di sicurezza, un luogo in cui le fonti di ansia, ostilità e attenzioni indesiderate semplicemente scompaiono.

Temperatura

Molti gatti sembrano scegliere altri luoghi strani per rilassarsi. Alcuni finiscono in un lavandino,altri preferiscono scarpe, ciotole, borse per la spesa, tazze, cartoni delle uova vuote e altri piccoli spazi chiusi.

Il che ci porta ad un altro motivo per cui al vostro gatto potrebbero piacere un sacco le  piccole scatole (e altri luoghi apparentemente scomodi): il  freddo.

Secondo uno studio del 2006 da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche, la neutralità termica per un gatto domestico è da 30 a 36 gradi Celsius. Questo è il campo di temperatura in cui sono “comodi” e non devono generare calore in più per stare al caldo o spendere energia metabolica nella refrigerazione.

Questa  media  è di circa 10 gradi superiore al nostro fabbisogno, il che spiega il motivo per cui non è raro vedere un gatto disteso sull’asfalto caldo in un giorno che per voi è già troppo caldo.

E spiega anche perché molti gatti possono godere di spazi ristretti. Il cartone è un grande isolante, e piccoli luoghi forzano il gatto ad arricciarsi, che a sua volta aiuta a preservare il calore del suo corpo.[Wired]

Natasha Romanzotti

Fonte:http://hypescience.com/por-que-gatos-amam-caixas/

 

 

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Una donnola vola sul dorso di un picchio

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Queste istantanee stupefacenti sono prese in Hornchurch Country Park , situato a est di Londra dal fotografo dilettante Martin Martin Le-mayo.
Che ci crediate o no le foto non sono state manipolate. Martin stava camminando con la moglie quando ha incontrato questa sorpresa incredibile.
La donola ( Mustela nivalis ) spesso rubano in nidi di altri animali. Forse in questo caso, dopo una disputa, si è trovata che volava in aria arroccata in questo picchio; Specie viridis Picus .
La scena si è conclusa rapidamente quando l’uccello sceso e la donnola è  scomparsa nell’erba.

Via: businessinsider.com

Autore:

Fonte:http://www.medioambiente.org/2015/03/solo-una-comadreja-volando-lomos-de-un.html?utm_source=bp_recent&utm-medium=gadget&utm_campaign=bp_recent

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Camaleonti, scienziati svizzeri svelano il perchè cambiano colore [VIDEO]

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I camaleonti sono una famiglia di rettili squamati appartenenti al sottordine dei Sauri. Sono contraddistinti da numerosi elementi peculiari: la capacità di mutare colore, la lunga lingua retrattile e appiccicosa con cui catturano gli insetti, e i grandi occhi che possono ruotare l’uno indipendentemente dall’altro. Come cambiano colore i camaleonti? Secondo una scoperta, descritta su Nature Communications, da parte di un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra coordinato da Michel Milinkovitch, i camaleonti cambiano colore grazie ad un vero meccanismo ‘hi-tech’. Un meccanismo unico nel mondo animale. Il segreto? E’ tutto nella struttura delle pelle di questi rettili composta da due strati di cellule di forma diversa che si orientano con la luce del sole.


Per capire cosa accade ai camaleonti non basta comprendere come funziona semplicemente il meccanismo di cambio di colore di tutti gli altri animali nei quali si disperdono i pigmenti nelle cellule della pelle, ma bisogna persino scomodare la fotonica. In pratica: bisogna comprendere come funziona il meccanismo che studia la luce e la sua interazione con materiali di tipo diverso. In sostanza i camaleonti possiedono sulla pelle un meccanismo futuristico, davvero Hi-Tech. Un meccanismo mai visto finora nel regno animale e basato su un doppio strato di cellule della pelle, in ognuno dei quali le cellule hanno forme e comportamenti diversi.


In sostanza, a quanto svelano gli scienziati, le cellule dello stato superficiale si comportano in modo diverso a seconda che la pelle sia eccitata o rilassata e ricordano i cristalli fotonici. Questi cristalli esistono in natura (ad esempio negli opali o in alcune specie di farfalle) e riescono a modificarsi, variando la velocità di propagazione della luce che li attraversa.
Il secondo strato di cellule rappresenta però la vera novità: è lo strato più profondo e sottile, specializzato nel riflettere la luce solare nel vicino infrarosso e potrebbe avere soprattutto la funzione di tenere al caldo i camaleonti.
Insomma: i camaleonti sono una specie che riserva ancora grandissime sorprese per gli scienziati.


Fonte: http://www.diregiovani.it/rubriche/scientificamente/38740-perche-i-camaleonti-cambiano-colore-fotonica.dg#sthash.q1vKTnY6.dpuf

 

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Ecco Frankie, il cane che “annusa” i tumori (e non sbaglia)

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 Scritto da Roberta Ragni

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I cani sanno annusare i tumori. Sono sempre più le storie di amici a quattro zampe che si trasformano in ‘medical detector‘. L’ultima è quella di Frankie, che è riuscito a dare una diagnosi corretta in 30 casi su 34. Il cane è stato utilizzato per fiutare il cancro della tiroide in persone a cui non era stata ancora diagnosticata, mostrando un tasso di successo dell’88% nella ricerca di tumori.

La tiroide è una ghiandola nel collo che produce ormoni per regolare il metabolismo. I tumori tiroidei sono relativamente rari e sono normalmente diagnosticati testando i livelli ormonali nel sangue e usando un ago per estrarre le cellule.

Ma come fa il cane ad accorgersi della sua presenza? I tumori rilasciano “composti organici volatili” nel corpo che è capace di captare grazie ai suoi recettori dell’olfatto, 10 volte più numerosi di quelli delle persone, che consentono loro di individuare gli odori unici emessi dai tumori.

Frankie è stato addestrato a sdraiarsi quando fiuta l’odore del cancro alla tiroide in un campione e si allontana se l’urina è pulita. Trentaquattro pazienti, che stavano andando in ospedale per i test convenzionali, hanno preso parte all’esperimento.

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Capire qual è l’odore che i cani annusano potrebbero aiutare a lo sviluppo di ‘nasi elettronici’ in grado di rilevare le stesse molecole, che potrebbero portare a test diagnostici migliori in futuro.

Roberta Ragni

Photo Credit

Pubblicato da:http://www.blueplanetheart.it/2015/03/11/ecco-frankie-il-cane-che-annusa-i-tumori-e-non-sbaglia/

 

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Un esplosione di cuccioli: 20 camaleonti popolano lo zoo australiano

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Gattini e cuccioli sono carini, certo, ma anche i piccoli rettili possono  esserlo. Se non puoi immaginarlo, non ne hai più bisogno. Basta controllare le immagini di oltre 20 camaleonti cuccioli che sono  appena nati al Taronga Zoo, un giardino zoologico a Sydney, in Australia.

Questi ragazzi verdi sono camaleonti delle specie Chamaeleo calyptratus,nativi dello Yemen e Arabia Saudita.

Anche se possono cambiare il loro colore come camuffamento, lo fanno più spesso in risposta ai cambiamenti di temperatura, a causa dello stress o per richiamare l’attenzione di un partner romantico.

Questi animali si nutrono di piante e insetti che catturano con le loro lunghe, appiccicose lingue.

Chameleons C. calyptratus non sono in pericolo e sono buoni allevatori, tanti negozi li offrono come animali domestici.

Camaleonti Beverage (1)

Beverage Chameleons (2)

Chameleons Beverage (3)

Chameleons Beverage (4)

Camaleonti Beverage (5)

Beverage Chameleons (6)

Chameleons Beverage (7)

Beverage Chameleons (8)

Chameleons Beverage (9)

Chameleons Beverage (10)

Chameleons Beverage (11)

Chameleons Beverage (12)

 

Fonte:http://hypescience.com/20-bebes-camaleoes-recem-nascidos-sobrecarregam-zoologico-australiano-com-fofura/

 

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La musica per gatti

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Un po’ di fusa e un po’ di quel rumore che i gattini fanno succhiando il latte dalla mamma. È Music for Cats e ci porta nell’affascinante ambito della biomusicologia

La biomusicologia è quella branca della ricerca che, da tempi relativamente recenti, indaga la musicalità delle specie animali (anche) per comprendere le origini della nostra. Ci sono carpe che distinguono tra diversi compositori, leoni marini che danzano a ritmo, specie di primati che si avvicinano a una radio che suona e altre che si allontanano o rimangono indifferenti. Ma ora l’attenzione della ricerca si è spostata sui gatti: se da un lato gli amici felini ignorano le nostre composizioni, fors’anche perché troppo complesse, dall’altro sono estremamente responsivi quando ascoltano della musica espressamente pensata per loro. Musica per gatti.

Ci stupisce? No, considerando che di recente sono sempre di più i centri che si occupano di fauna selvatica  – ma anche le strutture come gli zoo – che hanno iniziato a far ascoltare musica ai loro animali. È presto per trarre conclusioni, spesso non è chiaro cosa sia ad attirarli, a rilassarli, a metterli in allarme, anche perché le osservazioni vengono solitamente condotte su pochi esemplari. Un esempio è il pappagallo Snowball, che balla a ritmo dei Backstreet Boys meglio di quanto facessimo noi negli anni Novanta ed è finito sulle pagine di Current Biology. Insomma le domande si affollano e lo stato dell’arte di questa disciplina è decisamente affascinante (qui ho fatto il punto). Ma torniamo ai gatti.

«Non stiamo propriamente replicando suoni felini», spiega Charles Snowdon, professore di psicologia e coordinatore dello studio pubblicato su Applied Animal Behaviour Science. «Stiamo provando a creare della musica che abbia toni e ritmo apprezzabili dai gatti». Ma concretamente questo cosa vuol dire? Uno dei primi campioni musicali elaborati dagli scienziati è stato basato sul ritmo delle fusa, un altro sul suono che i mici fanno succhiando il latte dalla mamma. Il primo passo, spiega Snowden, è valutare la musica nel contesto del sistema sensoriale del gatto. Felini che, per dirne una, vocalizzano a un’ottava più alta rispetto agli umani.

Fusa e schiene inarcate

Snowden e la ricercatrice con cui ha collaborato, Megan Savage, hanno portato nelle case in cui vivono 47 gatti un portatile munito di due speaker, e fatto loro ascoltare quattro diverse tipologie di musica: due di musica classica e due “canzoni per gatti”, create dal compositore David Teie della University od Maryland. La musica iniziava dopo un primo periodo di silenzio e, una volta cominciata, i ricercatori prendevano nota dei comportamenti dei gatti in risposta ai diversi brani.

Ronfare, camminare verso gli speaker e strusciarvisi addosso sono state considerate reazioni positive, mentre soffiare, inarcare la schiena e rizzare il pelo significavano invece una reazione negativa. Quando ascoltavano la musica felina, i gatti reagivano in modo decisamente migliore, oltre a farlo prima (dopo circa 110 secondi, mentre per una risposta alla musica umana ce ne mettevano mediamente 171).

Lo studio è il seguito di un’altra pubblicazione di Snowdon e Teie, che nel 2009 mostrarono come i tamarini dalla chioma di cotone (primati della specie Sanguinus oedipus) rispondano quando ascoltano una musica creata appositamente per loro. Quel lavoro portò gli scienziati a pensare che le stesse caratteristiche che comunicano e inducono stati emotivi negli esseri umani, presenti nella nostra musica, potrebbero applicarsi anche ad altre specie. Si tratta di tono, ritmo e timbro. Finora molti studi sulla musica e gli animali hanno prodotto risultati in conflitto: uno, per esempio, è arrivato alla conclusione che a molte specie la musica proprio non piace.

Tanto da fare

Ma i punti da chiarire sono parecchi, come ha dimostrato una ricerca condotta in Giappone su un gruppo di ratti. Gli animali ignoravano completamente le frequenze al di sotto dei 4000 hertz, il che significa (oltre al fatto che non hanno avuto modo di apprezzare il Mozart loro proposto) che praticamente la quasi totalità della nostra musica classica è loro indifferente. Un altro fraintendimento, precisa Snowdon, riguarda proprio l’effetto che la musica dovrebbe fare. Se basandoci sull’esperienza umana si parte dal presupposto che la musica classica sia rilassante, e si pensa abbia lo stesso effetto sugli animali, in realtà per una specie diversa dalla nostra potrebbe rivelarsi fastidiosa, sgradevole o eccitante.

Tutte queste considerazioni, insieme ai dettagli che vanno tenuti presenti durante le osservazioni via via che la ricerca procede, concorrono a eliminare la possibilità che gli animali rispondano alla musica come ci aspettiamo. O reagiscano in modo simile agli esseri umani. «Il problema è una somma delle varie questioni», commenta Snowdon. «Non la sentono, e per loro non è musica». Perlomeno non come la intendiamo noi. «Un reporter della National Public Radio è convinto che al suo cane piaccia la musica classica, perciò gliela fa sentire da NPR tutto il giorno», conclude lo scienziato. «Un altro ragazzo che lavora in una stazione che trasmette rock pensa invece che il suo cane apprezzi l’heavy metal, perciò trasmette heavy metal per ore. Ci sono un po’ di cose strane in corso. Ma nella maggior parte dei casi ancora non sappiamo quale sia l’effetto della musica sugli animali».

Nel caso vogliate provare a far ascoltare la musica per gatti al vostro felino la trovate qui. La mia gatta si è dimostrata piuttosto interessata.

@Eleonoraseeing

Guarda il video: Ritmo animale

Crediti immagine: Barbara Müller-Walter

Di Eleonora Degano

Fonte:https://oggiscienza.wordpress.com/2015/03/13/musica-per-gatti/

 

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Il lupo pescatore che cattura salmoni accanto agli orsi (VIDEO)

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Lo straordinario filmato girato nel Katmai National Park in Alaska

lupo pescatore

E’ abbastanza noto che nella penisola dell’ Alaska il salmone costituisce una parte significativa della dieta estiva dei lupi, ma il video che pubblichiamo, girato a Brooks Falls nel luglio 2007, ma messo sulla pagina Facebook del Katmai National Park solo pochi giorni fa, mostra un lupo particolarmente bravo a pescare ed anche coraggioso, visto che lo fa a pochi metri di distanza da un orso bruno intento anche lui a pescare salmoni.

Il lupo in un paio di tentativi cattura sott’acqua un salmone, poi salta sulla riva e se ne va via  con la sua preda.

Mike Fitz, lo specialista di comunicazione visuale del parco Katmai National Park che ha caricato il filmato su Facebook, spiega che  i lupi frequentano Brooks Fall ogni estate, «Di solito sono solo di passaggio. Di tanto in tanto sono stati visti nutrirsi di scarti di pesce nel fiume, ma che puntino a catturare salmoni vivi è una cosa rara.  E’ stato abbastanza unico vedere questo lupo pescare accanto agli orsi»

In un’intervista telefonica a Sierra, Fitz ha detto che lo stesso lupo è tornato molte volte a pescare durante il giorno vicino alla cascata, per poi portare le sue prede lontane dagli orsi, risalendo ogni volta una collina. Infatti, se nel video il grosso orso bruno non mostra alcun interesse per il lupo, non sempre è così. Fitz spiega che «Ci può anche essere un conflitto. Gli orsi sono piuttosto bravi a riconoscere quando c’è una seria minaccia per le risorse che vogliono loro. Dato che l’orso che è nel video in quel un punto stava prendendo un sacco di pesce, quindi non aveva davvero bisogno di scacciare via il lupo, perché stava trovando un sacco di cibo che nuotava fino ai suoi piedi».

Il filmato è stato girato dallo staff del Parco quasi 8 anni fa, ma Fitz lo è andato a scovare negli archivi per condividerlo, perché voleva che la gente vedesse che i lupi non fanno solo caccia grossa: «Troppe volte i lupi sono visti come solo i predatori di grandi ungulati: mentre corrono qui per uccidere caribù o mentre vanno da un’altra parte ad uccidere alci. E certamente lo fanno, ma in estate possono dedicarsi ad ammazzare un sacco di salmoni. E possono farlo anche per più del tempo che passano a caccia di alci».

La decisione di pubblicare il filmato del lupo pescatore ha avuto successo: solo nel primo giorno il video è stato visto quasi 20.000 volte. «E’ probabilmente la cosa più virale che abbia mai messo su internet» conclude  Fitz.

Videogallery

  • Wolf Catches Salmon at Brooks Falls

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Ili Pika, un coniglio magico fotografato per la prima volta in 20 anni

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Il Ili Pika (Ili Pika) è un mammifero della famiglia Ochotonidae; di cui fanno parte anche conigli e lepri.
Queste sono le prime foto dell’animale che sono state fatte negli ultimi 20 anni, data l’inaccessibilità del suo habitat e il basso numero di esemplari.

E ‘stato scoperto nel 1983 da Li Weidong e il nome Ili Pika si riferisce alla sua città natale. La somiglianza con i conigli ha portato il suo scopritore chiamarlo   coniglio magico, il nome con cui è comunemente noto.

Questi animali sono endemici della catena montuosa del Tian Shan, situata nella provincia di Xinjiang. Il primo censimento nel 1983 ha stimato il loro numero a 2.900, un successivo 2.002 copie nel 2000 e l’ultima nel 2014 solo meno di un migliaio di copie.

Si tratta di uno degli animali più minacciati al mondo. Li Weidong ritene che il riscaldamento globale e il cambiamento delle condizioni meteorologiche sulle cime delle montagne sono la causa del declino del Ili Pika,
Con la coda Ili Pika ha una lunghezza di circa 20 centimetri, è erbivoro e vive nelle zone più impervie di montagna; poco si sa circa le loro abitudini e l’ecologia.
Li Weidong scopritore dell’animale e autore delle foto nell’ habitat naturale di Ili Pika

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Qualcosa di inaspettato ed eccezionale: otarie che predano e poi mangiano squali

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Da sempre si studiano gli effetti top-down dei predatori sulla struttura e la dinamica degli ecosistemi, anche se la natura e le conseguenze delle interazioni trofiche tra i predatori al culmine della catena alimentare hanno ricevuto molto meno attenzione, ma quello scoperto al largo delle coste del Sudafrica e poi reso noto nello studio “Intraguild predation and partial consumption of blue sharks Prionace glauca by Cape fur sealsArctocephalus pusillus pusillus” pubblicato sull’African Journal of Marine Sciences è davvero qualcosa di inaspettato ed eccezionale.

La ricerca infatti descrive la prima prova di otarie orsine del Capo (Arctocephalus pusillus pusillus) che predano  verdesche (Prionace glauca), squali di medie dimensioni, consumandoli in parte. I ricercatori sottoòineano che «Queste osservazioni sono importanti non solo per la comprensione delle interazioni tra queste due specie, ma più in generale per le loro implicazioni nella comprensione dell’ecologia trofica dei pinnipedi, molte popolazioni delle quali sono aumentate mentre numerose popolazioni di squali sono diminuite».

Tutto è partito dalle foro scattate nel 2012 da dei turisti in viaggio in Sudafrica e  Chris Fallows che lavora con gli squali bianchi dal 1992, quando organizzo le prime immersioni a pagamento in gabbia Sudafrica e che oggi dirige il progetto di immersioni Apex Shark Expedition  e passa in mare fino a 200 giorni all’anno monitorando gli squali ne rimase molto colpito. Era infatti proprio Fallows a guidare il gruppo di turisti in una battuta alle verdesche. Le cose andavano bene: una decina di verdesche erano state attratte dalle esche poi entrò in scena un giovane maschio di otaria orsina del Capo. Queste otarie, che normalmente mangiano pesci, calamari e crostacei,  sono una preda comune degli squali bianchi (Carcharodon carcharias), quindi Fallows ed i turisti si aspettavano che il pinnipede fosse li per contendere le esche alle verdesche, invece attaccò direttamente gli squali, alcuni dei quali arrivavano quasi a due metri, più o meno quanto lo stesso maschio di otaria.

La sorpresa diventò ancora più grande quando l’otaria orsina ce la fece a catturare una verdesca, la sventro e cominciò a nutrirsi delle sue interiora, per poi passare ad attaccare un altro squalo. Temendo per la sicurezza dei turisti Fallows li riportò sull’imbarcazione, ma tornò a fotografare l’incredibile scena scattando diverse fotografie, comprese quelle che pubblichiamo. Alla fine l’otaria aveva ucciso, sventrato e mangiato 5 dei 10 piccoli squali. Poi, temendo che la sua presenza in qualche modo avesse innescato o favorito questo strano comportamento del mammifero marino Fallows si allontanò, ma quando rese note le foto disse: «Di solito, gli squali di queste dimensioni non sono certo considerati cibo per foche».

In realtà Fallows aveva assistito ad una scena simile nl 2004, quando, sempre al largo di Cape Point, vide un altro giovane maschio di otaria orsina inseguire e catturare una verdesca e, dopo averla scagliata in aria, aprirne la pancia per mangiarsi stomaco e fegato, ma allora non riuscì a scattare delle foto di una buona qualità per attestare la strana predazione. Questa volta invece ci è riuscito e la pubblicazione on-line di queste immagini, anche sulla pagina Facebook di Apex Shark Expedition, sono state notate prima dai giornali sudafricani e poi da Hugues Benoit, uno scienziato di Fisheries and Oceans Canada, che ha contattato Fallows e che ora spiega: «Non ero sicuro se avesse capito l’importanza scientifica di ciò che aveva visto». Nel nuovo studio che ha pubblicato insieme Neil Hammerschlag dell’università di Miami, Benoit descrive sia l’evento di predazione che la sua importanza  ecologica. Le otarie non erano mai state viste prima attaccare piccoli squali, mentre si sapeva che potevano sventrare squali morti rimasti impigliati nelle reti da pesca. Ma anche se otarie del Capo e ventresche hanno diete simili, i pinnipedi non sembrano nemmeno in competizione con  i loro rivali predatori. «Questo è un caso in cui un concorrente ha preso una sorta di preso il sopravvento», dice Benoit.

Inoltre, l’altra cosa interessante è che  le otarie mangiano solo le viscere delle verdesche, la parte a più alta densità energetica degli squali, nota. Anche se i pescatori sanno da anni che le otarie orsine del Capo mangiano le viscere di grandi pesci intrappolati nelle loro reti, questo tipo di predazione è stata rarissimamente vista in mare aperto su prede di mammiferi marini. Il fatto che le otarie scartino il resto del corpo degli squaletti dimostra che si tratta di una predazione mirata e che la carcassa non viene considerata come una perdita di possibile cibo. «E ‘come essere ad un buffet di aragoste – esemplifica Benoit – Se avete intorno tonnellate di aragoste intorno, basta mangiare le code e le chele, invece di impegnarsi con tutte quelle piccole zampe».

L’eccezionale comportamento dimostra anche che i metodi tradizionali di indagine sulla dieta per i mammiferi marini potrebbero mancare di alcuni filoni chiave nella catena alimentare. Gli ecologisti hanno a lungo ipotizzato che le foche e le otarie, ad eccezione di specie come la foca leopardo,  consumino principalmente piccoli pesci, ma analizzando gi stomaci di foche morte o le feci di animali vivi  non si trovano certo resti molli delle viscere di grandi animali come gli squali. Inoltre, qualche mese fa, dall’altra parte del globo, nel nord Europa,  sono stati documentati attacchi di foche a piccole focene.

Che le otarie orsine del capo prendano di mira solo le viscere degli squali solleva un altro problema: potrebbe avere conseguenze a livello di popolazione per la preda, perché per saziarsi devono uccidere tanti animali. Per ora, questa è una stima difficile da fare, perché non si sa quante giovani verdesche vengano uccise dalle otarie, ma Benoit sospetta che mangiare gli squali sia un comportamento naturale per le otarie,  visto che pe primo è Fallows a testimoniare che i due episodi ai quali ha assistito sono avvenuti in mare aperto, dove nessuna attività umana potrebbe in qualche modo aver istigato un’interazione anormale. Fallows è rimasto «impressionato dalla facilità con cui questa otaria è stata in grado di prendere questi squali – sottolinea  Benoit –  Presumibilmente, questo tipo di comportamento non sarebbe così raro se l’osservatore fosse solo al posto giusto al momento giusto».

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Fonte:http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/le-otarie-che-mangiano-squali-fotogallery/#prettyPhoto

 

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